MFormazione "il FIGLIO dell'UOMO" ARGOMENTO dalla STAMPA QUOTIDIANA

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FORMAZIONE

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dal 28 Marzo al 4 Aprile 2010

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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi 2010-01-31

L'Appello di Benedetto XVI durante l'Angelus

Il Papa: "Si salvino i posti di lavoro"

"Penso ad alcune realtà difficili in Italia come, ad esempio,

Termini Imerese e Portovesme"

Almeno 500 operai dell'Alcoa di Portovesme sono attesi a Roma per martedì 2 febbraio in concomitanza con la riunione a Palazzo Chigi, prevista intorno alle 20.30, tra i i vertici della multinazionale dell'alluminio, i rappresentanti del governo e della Regione Sardegna, le organizzazioni sindacali.

Omsa, che crisi: a Faenza lavoratrici in rivolta

Ieri il gesto disperato di S.M., 36 anni, da due mesi disoccupato

Senza lavoro, si era dato fuoco morto l'operaio di Bergamo

Inutili i tentativi di salvarlo: le ustioni erano troppo gravi

Protestano sul tetto, la Fiat li denuncia

Sono stati denunciati all'autorità giudiziaria i 13 lavoratori della Delivery Email, azienda dell'indotto, che da dieci giorni si trovano sul tetto del capannone della Fiat a Termini Imerese.

Dialogo a tutto campo: su Termini Imerese, incentivi, livelli produttivi e occupazionali.

Al termine del tavolo tecnico sulla Fiat, il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola prova a rasserenare il clima: "Abbiamo riannodato le fila per una collaborazione tra governo, Fiat e parti sociali". Sulla riconversione di Termini Imerese il ministero sta valutando la consistenza di 6-7 proposte che saranno esaminate nel dettaglio in un nuovo incontro il 5 febbraio.

In quella sede, dice Scajola, "la Fiat parteciperà attivamente nella ricerca delle soluzioni".

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

40° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero:

Penso al gesto disperato dell'Operaio che si è dato fuoco per la perdita del posto di lavoro.

Certamente su di lui ha influito anche iil fatto che sia stato lasciato solo, che la società non lo abbia sostenuto oltre che materialmente anche psicologicamente.

Ma come lui ci sono altri 2 Milioni di lavoratori disoccupati, quelli ufficialmente noti, ma ce ne sono senz'altro parecchi altri, oltre al milione in cassa integrazione.

Di fronte a questo stato di fatto il Ministro delle Finanze si preoccupa di emendare la legge passata al senato con un emendamento della IDV, sul tetto massimo degli stipendi, dichiarando l'emendamento incostituzionale.

Caro signor Ministro, ci dica quale è l'articolo della Costituzione che dichiara incostituzionale la limitazione del tetto massimo degli stipendi.

Di fronte alla straricchezza di certi stipendi, che un normale lavoratore non si sogna neanche in una intera vita lavorativa, c'è invece la certezza che lo Stato si comporta incostituzionalmente nei confronti di miglioni di persone, negando loro il Lavoro come previsto dalla Costituzione, ed anche la Dignità, altrettanto previsto dalla Costituzione:

  • L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro (art. 1)
  • È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese( art. 3)
  • La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Art. 4

Si faccia un esame di coscienza sig. Ministro, e Governo tutto.

Ed in più, oltre alla Costituzione Italiana sulla quale avete giurato, ed in primis sull'articolo 1, 3, 4, pensate anche a cosa significhi chiamarsi Cattolici, ovvero Praticare il Vangelo, Via, Verità, Vita, non solo vantarsi di esserlo, dimostrando nei fatti di comportarsi in tutt'altro modo.

Pensate alle parole del Papa pronunciate oggi all'Angelus, ed andate in parlamento a discutere insieme all'opposizione a come risolvere la crisi.

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Le Parole del PAPA Benedetto XVI:

L'ANGELUS SULLA CARITA' - "Chi ama veramente non tiene conto del proprio interesse

Alla fine quando ci incontreremo faccia faccia con Dio l’unica cosa che rimarrà in eterno è la carità

Dio è amore e noi siamo in comunione con lui. La carità è il distintivo del cristiano è la sintesi di tutto cio che crede e che fa

L’amore è Dio stesso, è la luce che dà bontà a ogni esistenza. È lo stile di Dio, è il comportamento di chi rispondendo all’amore di Dio imposta la propria vita come dono di sè e si dedica al prossimo

Oggi 31 gennaio ricordiamo San Giovanni Bosco, patrono dei giovani. I sacerdoti devono essere sempre educatori e padri dei giovani". Infine il papa ha ricordato che la giornata è dedicata anche ai malati di lebbra.

La crisi economica sta causando la perdita di numerosi posti di lavoro, e questa situazione richiede grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti. Penso ad alcune realtà difficili in Italia, come, ad esempio, Termini Imerese e Portovesme; mi associo pertanto all’appello della Conferenza Episcopale Italiana, che ha incoraggiato a fare tutto il possibile per tutelare e far crescere l’occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie.

Bollettino santa Sede

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2010-01-31

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS

# PRIMA DELL’ANGELUS

# DOPO L’ANGELUS

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

Presenti oggi, tra gli altri, i Ragazzi dell’Azione Cattolica della diocesi di Roma che concludono con la "Carovana della Pace" il mese di gennaio da loro tradizionalmente dedicato al tema della pace. Al termine della preghiera dell’Angelus due bambini, invitati nell’appartamento pontificio, liberano dalla finestra due colombe, simbolo di pace.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

# PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Nella liturgia di questa domenica si legge una delle pagine più belle del Nuovo Testamento e di tutta la Bibbia: il cosiddetto "inno alla carità" dell’apostolo Paolo (1 Cor 12,31-13,13). Nella sua Prima Lettera ai Corinzi, dopo aver spiegato, con l’immagine del corpo, che i diversi doni dello Spirito Santo concorrono al bene dell’unica Chiesa, Paolo mostra la "via" della perfezione. Questa – dice – non consiste nel possedere qualità eccezionali: parlare lingue nuove, conoscere tutti i misteri, avere una fede prodigiosa o compiere gesti eroici. Consiste invece nella carità – agape – cioè nell’amore autentico, quello che Dio ci ha rivelato in Gesù Cristo. La carità è il dono "più grande", che dà valore a tutti gli altri, eppure "non si vanta, non si gonfia d’orgoglio", anzi, "si rallegra della verità" e del bene altrui. Chi ama veramente "non cerca il proprio interesse", "non tiene conto del male ricevuto", "tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (cfr 1 Cor 13,4-7). Alla fine, quando ci incontreremo faccia a faccia con Dio, tutti gli altri doni verranno meno; l’unico che rimarrà in eterno sarà la carità, perché Dio è amore e noi saremo simili a Lui, in comunione perfetta con Lui.

Per ora, mentre siamo in questo mondo, la carità è il distintivo del cristiano. E’ la sintesi di tutta la sua vita: di ciò che crede e di ciò che fa. Per questo, all’inizio del mio pontificato, ho voluto dedicare la mia prima Enciclica proprio al tema dell’amore: Deus caritas est. Come ricorderete, questa Enciclica si compone di due parti, che corrispondono ai due aspetti della carità: il suo significato, e quindi la sua attuazione pratica. L’amore è l’essenza di Dio stesso, è il senso della creazione e della storia, è la luce che dà bontà e bellezza all’esistenza di ogni uomo. Al tempo stesso, l’amore è, per così dire, lo "stile" di Dio e dell’uomo credente, è il comportamento di chi, rispondendo all’amore di Dio, imposta la propria vita come dono di sé a Dio e al prossimo. In Gesù Cristo questi due aspetti formano una perfetta unità: Egli è l’Amore incarnato. Questo Amore ci è rivelato pienamente nel Cristo crocifisso. Fissando lo sguardo su di Lui, possiamo confessare con l’apostolo Giovanni: "Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto" (cfr 1 Gv 4,16; Enc. Deus caritas est, 1).

Cari amici, se pensiamo ai Santi, riconosciamo la varietà dei loro doni spirituali, e anche dei loro caratteri umani. Ma la vita di ognuno di essi è un inno alla carità, un cantico vivente all’amore di Dio! Oggi, 31 gennaio, ricordiamo in particolare san Giovanni Bosco, fondatore della Famiglia Salesiana e patrono dei giovani. In questo Anno Sacerdotale vorrei invocare la sua intercessione affinché i sacerdoti siano sempre educatori e padri dei giovani; e perché, sperimentando questa carità pastorale, tanti giovani accolgano la chiamata a dare la vita per Cristo e per il Vangelo. Maria Ausiliatrice, modello di carità, ci ottenga queste grazie.

[00147-01.01] [Testo originale: Italiano]

# DOPO L’ANGELUS

L’ultima domenica di gennaio è la Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra. Il pensiero va spontaneamente a Padre Damiano de Veuster, che diede la vita per questi fratelli e sorelle, e che nello scorso ottobre ho proclamato santo. Alla sua celeste protezione affido tutte le persone che purtroppo ancora oggi soffrono per questa malattia, come pure gli operatori sanitari e i volontari che si prodigano perché possa esistere un mondo senza lebbra. Saluto in particolare l’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau.

Oggi si celebra anche la seconda Giornata di Intercessione per la Pace in Terra Santa. In comunione con il Patriarca Latino di Gerusalemme e il Custode di Terrasanta, mi unisco spiritualmente alla preghiera di tanti cristiani di ogni parte del mondo, mentre saluto di cuore quanti sono qui convenuti per tale circostanza.

La crisi economica sta causando la perdita di numerosi posti di lavoro, e questa situazione richiede grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti. Penso ad alcune realtà difficili in Italia, come, ad esempio, Termini Imerese e Portovesme; mi associo pertanto all’appello della Conferenza Episcopale Italiana, che ha incoraggiato a fare tutto il possibile per tutelare e far crescere l’occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie.

Un messaggio di pace ci portano anche i ragazzi e le ragazze dell’Azione Cattolica di Roma. Qui accanto a me ci sono due di loro, che saluto insieme a tutti gli altri che si trovano nella Piazza, accompagnati dal Cardinale Vicario, dai familiari e dagli educatori. Cari ragazzi, vi ringrazio perché, con la vostra "Carovana della pace" e col simbolo delle colombe che tra poco faremo volare, voi date a tutti un segno di speranza. Ora ascoltiamo il messaggio che avete preparato.

[un ragazzo legge il messaggio]

 

 

 

AVVENIRE

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2010-01-31

29 Gennaio 2010

LAVORO

Fiat e Alcoa, rabbia e protesta

Ora si muove il governo

Quattro ore tra le piste dell'aeroporto di Cagliari. Quattro ore per difendere il posto di lavoro. Un gesto estremo per dare visibilità alla protesta.Si è conclusa alle 14 l'occupazione dello scalo di Elmas da parte dei lavoratori dell'Alcoa di Portovesme,che manifestano contro la decisione dell'azienda di fermare gli impianti per sei mesi. Stamattina oltre 300 di loro sono partiti all'alba dal Sulcis e dopo aver percorso la statale 130 sono giunti nell'aeroporto del capoluogo e l'hanno bloccato. Con bandiere e striscioni sono arrivati sul piazzale di manovra dei velivoli impedendo, di fatto, tutta l'attività di volo.

La tensione è salita rapidamente ed è sfociata in alcuni tafferugli scoppiati con polizia e carabinieri in assetto antisommossa. "La protesta è determinata dall'atteggiamento decisamente rigido che continua a mantenere l'azienda Alcoa. Oggi vi è la protesta all'aeroporto nella speranza che questa sia l'ultima giornata di mobilitazione" spiega Giovanni Matta, segretario regionale Cisl Sardegna.

Da una parte i lavoratori, dall'altra gli uomini in divisa. Nel mezzo alcuni passeggeri bloccati su un aereo che non partirà mai. Quando li fanno scendere si trovano a passare in mezzo alle bandiere degli operai. Per sbloccare la situazione scendono in campo il prefetto di Cagliari Giovanni Balsamo, il questore Salvatore Mulas e e il sindaco di Elmas, Walter Piscedda. Alla fine, dopo 4 ore, la situazione si sblocca. Gli operai lasciano l'aeroporto (poi riaperto) dopo la notizia che Palazzo Chigi ha anticipato l'incontro con i vertici della multinazionale americana dal 5 al 2 febbraio. "Faremo un biglietto di sola andata - assicurano gli operai - e non torneremo da Roma se non ci sarà data la garanzia che lo stabilimento continuerà la produzione di alluminio".

La lettera del premier ai vertici dell'Alcoa. Nel pomeriggio poi arriva la notizia inattesa: il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha scritto una lettera al presidente e amministratore delegato dell'Alcoa, Klaus Kleinfeld. Nella lettera il premier invita la multinazionale a conservare l'attività produttiva negli impianti italiani, e a non assumere decisioni al riguardo prima che la Commissione europea abbia proceduto all'esame del provvedimento, atteso entro il prossimo mese di febbraio. Lo ha reso noto la presidenza del Consiglio. "Berlusconi ricorda a Kleinfeld come una scelta diversa da parte dell'Alcoa produrrebbe gravi crisi sociali in aree disagiate del Paese e potrebbe modificare i rapporti fra il Governo italiano e la multinazionale".

Anche Fiat ad alta tensione. Anche sul fronte Fiat una gironata ad alta tensione. In mattinata fanno discutere le dichiarazioni della Marcegaglia, a margine del summit di Davos, in cui il presidente di Confindustria sostiene che lo stabilimento di Termini Imerese andrebbe chiuso. Rivolta dei sindacati, con Bonanni a promettere che la Cisl è disposta a tutto affinché l'ipotesi non si verifichi. In difesa dei lavoratori anche il ministro dello Sviluppo economico Scajola, che al tavolo delle trattative convocato nel pomeriggio ha detto: "Ci aspettiamo dalla Fiat risposte sulle prospettive industriali di tutti gli stabilimenti". "Il Governo - avrebbe aggiunto il ministro - auspica che a Termini rimanga la produzione legata all'auto. Vogliamo sapere quale contributo possa dare la Fiat per le nuove prospettive di produzione" nell'impianto sicilano. Il ministro avrebbe poi detto che il Governo ha finora valutato 7 proposte per il futuro di Termini ma ha ancora motivi di riserbo per valutare l'effettiva consistenza di queste. Occorre definire quale sia l'apporto della Fiat e solo dopo potranno essere portate all'attenzione del tavolo che sarà convocato su richiesta delle parti".

Al termine del tavolo il ministro Scajola ha poi annunciato che "è stato riannodato il filo del dialogo tra governo, Fiat e parti sociali". Nel nuovo tavolo tecnico convocato per il 5 febbraio sullo stabilimento siciliano verranno "esaminete le diverse ipotesi di sviluppo". Per Termini, ha continuato il ministro, "la Fiat parteciperà attivamente nella ricerca delle soluzioni" e ha confermato che "ci sono 6-7 proposte pervenute che dovremo valutare con grande attenzione". Alla Fiat "abbiamo chiesto di presentare a breve il piano di investimenti, i due terzi degli 8 miliardi che farà nel prossimo biennio".

 

 

 

 

29 Gennaio 2010

I VESCOVI E IL PAESE

Mons. Crociata: "Si ascolti il grido dei lavoratori"

Bisogna fare di tutto per "conservare, assicurare e accrescere i posti di lavoro". Lo chiede mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, nella conferenza stampa conclusiva del Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale. "Conosciamo - ha scandito il vescovo - il dramma delle famiglie che avevano un lavoro e ora si trovano per strada. Dobbiamo raccogliere questo grido, non possiamo rimanere insensibili". "Non posso intervenire su questioni specifiche", ha però aggiunto Crociata ribadendo: "Credo che sia, molto semplicemente, auspicabile che si continui a cercare il modo di assicurare ancora il lavoro".

Immigrazione. In tema di immigrazione, rispondendo a una domanda sui giornalisti in merito alle affermazioni del premier Berlusconi riguardanti la partecipazione degli immigrati alle attività delle organizzazioni criminali, Crociata ha fatto notare come le statistiche dimostrino che le percentuali di criminalità di italiani e stranieri sono analoghe, se non identiche.

Politica. Quanto ai politici che sono chiamati ad amministrare la cosa pubblica Crociata ha sottolineato: "Ricerca del bene comune", ma anche necessità di "non contrapporre questi a valori come il rispetto della vita umana o la famiglia fondata sul matrimonio". Per quanto riguarda, in particolare, la prossima scadenza delle Regionali il segretario della Cei ha rivolto un appello "alla responsabilità e a vivere questo importante momento con grande coscienza civica e di credenti con un senso di responsabilità e partecipazione. L'indicazione - ha poi detto - è quella di votare per coloro che guardano alle esigenze generali più importanti sia per la vita del Paese che per le Regioni".

Giustizia. Crociata ha anche rivolto un appello a trovare soluzioni all'interno degli equilibri istituzionali e costituzionali sul problema giustizia. "Senza esprimere giudizi di merito - ha detto Crociata - darei in questo caso quell'indicazione relativa a superare conflitti e tensioni già contenuta nella relazione del cardinale Bagnasco, per trovare una soluzione all'interno degli equilibri istituzionali seguendo la ricerca del bene comune da parte di tutti".

CORRIERE della SERA

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2010-01-31

l'Appello di Benedetto XVI durante l'Angelus

Il Papa: "Si salvino i posti di lavoro"

"Penso ad alcune realtà difficili in Italia come, ad esempio, Termini Imerese e Portovesme"

CITTÀ DEL VATICANO - Il Papa ha scelto l'Angelus in piazza San Pietro per esprimere la sua preoccupazione per la disoccupazione che coinvolge migliaia di famiglia: "La crisi economica sta causando la perdita di numerosi posti di lavoro - ha detto Benedetto XVI - e questa situazione richiede grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti". "Penso ad alcune realtà difficili in Italia - ha proseguito -, come, ad esempio, Termini Imerese e Portovesme". "Mi associo pertanto all'appello della Conferenza Episcopale Italiana - ha aggiunto Benedetto XVI -, che ha incoraggiato a fare tutto il possibile per tutelare e far crescere l'occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie". In Piazza San Pietro, per assistere all'Angelus del Papa, c'erano anche alcuni operai dell'Alcoa di Portovesme con uno striscione.

LA CARITA' E' LA VIRTU DEI CRISTIANI - Papa Benedetto XVI ha incentrato il suo messaggio per l’Angelus sulla Carità, la virtù che secondo il Pontefice "è il distintivo del cristiano. E’ la sintesi di tutta la sua vita: di ciò che crede e di ciò che fa". Per questo, ha detto il Papa, "all’inizio del mio pontificato, ho voluto dedicare la mia prima Enciclica proprio al tema dell’amore: Deus caritas est". L’amore - ha detto Benedetto XVI - è l’essenza di Dio stesso, è il senso della creazione e della storia, è la luce che dà bontà e bellezza all’esistenza di ogni uomo".

DUE RAGAZZI AL BALCONE CON IL PONTEFICE - Come ogni anno alla fine di gennaio, Benedetto XVI ha fatto salire alla terza loggia del Palazzo Apostolico alcuni ragazzi dell'Azione Cattolica per liberare con loro le tradizionali colombe della pace, al termine dell'Angelus. Una delle ragazze è stata così accanto al Pontefice per tutto il tempo nel quale è stato affacciato, e ciò anche mentre Ratzinger pronunciava il suo discorso. Poi è venuto il turno della giovane e il Papa le ha ceduto il microfono con grande rispetto. Infine, però, al memento di liberare le colombe è accaduto un fatto singolare: uno dei volatili si è infatti fermato sul davanzale dello studio privato del Papa e non voleva volare via. Nella stessa circostanza lo stesso era accaduto anche a una colomba liberata da Giovanni Paolo II, che in quel caso era addirittura rientrata all'interno della stanza sfiorando la spalla del Papa polacco già infermo.

Redazione online

31 gennaio 2010

 

 

 

 

L'ANGELUS DEDICATO ALLA CARITA'

"Tutti pazzi per Ratzy"

La marcia della pace dal Papa

Cinquemila tra bambini e ragazzi dell'Azione Cattolica da Piazza Navona a San Pietro con striscioni colorati

La manifestazione (Foto Ansa)

La manifestazione (Foto Ansa)

ROMA - Una manifestazione colorata, con cori, striscioni e trucchi non solo per i ragazzi ma anche per gli ecclesiastici che hanno partecipato. La marcia della pace, con cinquemila tra bambini e ragazzi dell'Azione Cattolica, è partita da Piazza Navona e si è conclusa a piazza San Pietro. Dove il gruppo è arrivato con uno striscione: "Tutti pazzi per Ratzy", a dimostrare l'amore per Papa Benedetto XVI. Il papa li ha accolti durante l'Angelus (una bambina gli è stata vicina durante tutta la funzione) e ha lanciato per loro due colombe della pace. A causa del freddo e della pioggia romana, la prima colomba si è fermata sulla finestra del pontefice, partendo solo in un secondo momento, incoraggiata dalla seconda. Sulla capitale, infatti, il maltempo non è violento ma cielo grigio, leggera pioggia e freddo sono una costante da un paio di giorni.

LO SLOGAN DEI RAGAZZI - "Siamo in onda: la pace ci circonda" è la frase scelta dall'Acr per la giornata che rappresenta il culmine di un "percorso svolto nei gruppi parrocchiali - spiegano gli organizzatori - incentrato sul tema della comunicazione e sull'imparare a capire quanto l'armonia e la sintonia con gli altri contribuisca a costruire una pace duratura". Inoltre domenica è la Giornata di Preghiera per la Pace in Terra Santa, promossa da varie associazioni giovanili cattoliche, i cui festeggiamenti si svolgono in centinaia di città del mondo .

L'ANGELUS SULLA CARITA' - "Chi ama veramente non tiene conto del proprio interesse" ha detto papa Benedetto XVI citando San Paolo durante l'Angelus, rivolto ai ragazzi. "Alla fine quando ci incontreremo faccia faccia con Dio l’unica cosa che rimarrà in eterno è la carità". Nella giornata dell'incontro con i giovani il papa parla di amore e carità perchè "Dio è amore e noi siamo in comunione con lui. La carità è il distintivo del cristiano è la sintesi di tutto cio che crede e che fa". La scelta del tema dell'amore, Benedetto XVI l'ha fatta anche nell'enciclica: "L’amore è Dio stesso, è la luce che dà bontà a ogni esistenza. È lo stile di Dio, è il comportamento di chi rispondendo all’amore di Dio imposta la propria vita come dono di sè e si dedica al prossimo" Il papa ha reso omaggio anche agli apostoli: "Oggi 31 gennaio ricordiamo San Giovanni Bosco, patrono dei giovani. I sacerdoti devono essere sempre educatori e padri dei giovani". Infine il papa ha ricordato che la giornata è dedicata anche ai malati di lebbra.

Redazione Online

31 gennaio 2010

 

 

 

 

una giornata nell’ufficio vertenze della Camera del lavoro di Milano

La crisi e quelle valige di documenti

ammassate nell'ufficio legale della Cgil

Tantissime le richieste di consulenze: "Nel 2008 sono state 10mila, recuperato salario per circa 55 milioni"

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La Camera dei Lavoro di Milano (Craighero)

La Camera dei Lavoro di Milano (Craighero)

MILANO - Aziende, consorzi, cooperative che aprono e chiudono in continuazione. Stabilimenti che abbassano le saracinesche da un giorno all’altro senza dare preavviso, senza lasciare nessuna traccia. Dipendenti che restano mesi senza stipendio. Sono queste alcuni degli scenari più gravi rivelati dall’osservatorio della Cgil che ne ha calcolato il peso: vertenze e contenziosi nel 2009 sono saliti del 40% a livello territoriale e nazionale. Per non parlare dell’Istat che denuncia quasi 400.000 posti di lavoro in meno rispetto a un anno fa e un tasso di disoccupazione ai massimi dal 2004. Ma c'è anche un altro dato da sottolineare: l'aumento della disoccupazione giovanile con un tasso del 26,5% nella fascia tra i 15 e i 24 anni a fronte del 21% medio registrato nella zona euro. Questo vuol dire che la crisi sta interessando il lavoro interinale, a termine e con tutte le modalità di collaborazione. Ecco perché aumentano le vertenze e i contenziosi.

Documenti presentati all'ufficio legale della Cgil (Craighero)

Documenti presentati all'ufficio legale della Cgil (Craighero)

9.500 VERTENZE - "Già nel corso del 2008 gli uffici vertenze hanno sviluppato un’intensa attività che ha portato a recuperare salario per circa 55 milioni di euro - sottolinea Gualtiero Biondo, coordinatore degli uffici vertenze della Cisl in Lombardia -. Le vertenze aperte sono state 9.500 e hanno interessato 14mila lavoratori". Da almeno due anni il menù della crisi è davvero variegato. A maggior ragione nel 2009, quando gli uffici dell’assistenza sindacale che si occupano della consulenza legale hanno aumentato notevolmente il loro carico di lavoro. Per rendersene conto basta analizzare i dati territoriali diffusi dalle tre organizzazioni sindacali principali - Cgil, Cisl e Uil - e considerare ogni regione come una lampadina che forma una plafoniera generale.

CAMERA DEL LAVORO - Siamo andati a vivere una giornata nell’ufficio vertenze e contenziosi legali della Camera del Lavoro di Milano. Scatole, faldoni, scrivanie prese d’assalto da pratiche di richiesta di intervento, telefoni che squillano il continuazione. C’è fibrillazione. E ci sono code. Lunghe code fin dalle prime ore del mattino. Non sono più solo immigrati, ma coppie di cassaintegrati, disabili, anziani, donne, donne in stato interessante e uomini di ogni età. Ognuno con il suo borsello. Fardello verrebbe da dire. Molti hanno delle valige o dei trolley con la documentazione. "Ne vediamo di tutti i colori - dice Corrado Mandreoli, responsabile dell'ufficio politiche sociali della Cgil milanese -, però quel che colpisce durante la crisi è il proliferare di situazioni illecite da parte delle aziende con la conseguente perdita dell’identità aziendale. Ci sono le grandi società che fino a dieci, vent’anni fa erano delle entità solide e ora sono frantumate in appalti, subappalti, uffici esterni e chi ne ha e più ne metta. Per non parlare delle migliaia di piccole realtà che non hanno neanche il delegato sindacale interno; o dei consorzi che continuano a cambiare nome passando da una società all’altra. E durante i cambi di proprietà o la chiusura repentina senza preavviso, il lavoratore accetta ogni decisione per paura di perdere il lavoro. Poi cosa succede? Arrivano da noi quando non ce la fanno più".

AMAREZZA - C’è grande rabbia, unita alla rassegnazione. Si aspetta pazientemente il proprio turno. Tra i giovani soprattutto c’è amarezza per non poter costruire un futuro. E se a formare un nucleo familiare sono due precari, la vita si fa dura. "Con questo meccanismo contorto del lavoro precario unito alla crisi - dice Annalisa Rosiello, avvocato dello Sportello consulenze e mobbing della Camera del lavoro di Milano - c’è un disorientamento generale e un clima di sfiducia, congiuntamente alla presa di coscienza che se qualche anno fa il lavoro era un punto saldo della nostra vita, ora non lo è più. E l’idea della famiglia a questo prezzo è un’utopia".

Ambra Craighero

31 gennaio 2010

 

 

 

 

L'Istat: il tasso sale all'8,5% in crescita di 1,5 punti percentuali rispetto a un anno fa

In Italia oltre due milioni di disoccupati

Sono 57mila in più rispetto a novembre. In Europa è salita al 10%, contro il 9,9% di novembre

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ROMA - Il mercato del lavoro continua a segnare rosso, sia in Italia che in Europa: il tasso di disoccupazione a dicembre sale all'8,5% dall'8,3% di novembre. Lo rende noto l'Istat precisando che il tasso di disoccupazione è in crescita di 1,5 punti percentuali rispetto allo stesso mese dell'anno precedente.

Secondo l'Istat è il dato peggiore da gennaio 2004, inizio delle serie storiche. I senza lavoro sono 2.138.000, 57mila in più rispetto a novembre e 392mila in più rispetto a dicembre 2008.

Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 26,2%, invariato rispetto al mese precedente ma in aumento di 3 punti percentuali rispetto a dicembre 2008. Il numero di inattivi di età compresa tra 15 e 64 anni, è pari a 14 milioni 822 mila unità, con una riduzione dello 0,2% (-25 mila unità) rispetto a novembre 2009 e un aumento dell'1,1% (+164 mila unità) rispetto a dicembre 2008. Il tasso di inattività è pari al 37,6% (-0,1 punti percen-tuali rispetto al mese precedente e in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto a dicembre 2008).

EUROPA - L'aumento dei disoccupati trova conferma anche nei 16 Paesi dell'area euro è salita al 10%, contro il 9,9% rivisto di novembre. Nel dicembre di un anno fa era all'8,2%. Lo rende noto Eurostat rilevando che si tratta del tasso più elevato nella zona dell'euro dall'agosto 1998. Il più elevato della zona euro e tra i più alti in Ue resta quello della Spagna al 19,5%. Nell'intera Ue il tasso di dicembre era al 9,6% (9,5% a novembre) e il 7,6% un anno fa. In questo caso è il tasso più elevato dal gennaio 2000. Secondo stime Eurostat, a dicembre i disoccupati erano nell'Ue 23,012 milioni di cui 15,763 milioni nell'eurozona. In un anno la disoccupazione è aumentata di 4,628 milioni nell'Ue e di 2,787 milioni nella zona dell'euro.

 

29 gennaio 2010(ultima modifica: 31 gennaio 2010)

 

 

 

 

 

La crisi? In Italia la pagano i giovani

Siamo in testa alla classifica Ocse: penalizzati i ragazzi. Il 60 per cento dei disoccupati ha meno di 34 anni

(Infophoto)

(Infophoto)

Forse perché è insicura della propria identità, l’Italia adora paragonarsi al resto del mondo. Gli italiani prendono sul serio e compulsano febbrilmente qualunque classifica internazionale li riguardi, quasi avessero bisogno di scoprire chi sono tramite il giudizio altrui. Si specchiano negli altri per capire se stessi. Poi magari si deprimono o invece, altre volte, concludono che in fondo, a guardar bene certi indicatori, "siamo quelli che stanno meglio". Eppure c’è una graduatoria nella quale questo Paese occupa un posto importante, senza che questo attragga granché l’attenzione nazionale: siamo l’economia avanzata nella quale la minoranza costituita dai giovani ha pagato il prezzo più alto alla recessione, e continua a farlo. Statisticamente, le generazioni nate fra il 1974 e il 1994 hanno assorbito l’intero costo della più grave crisi economica del dopoguerra.

Lo hanno fatto per tutti e in tutto, sia in termini di occupazione che nel livello delle retribuzioni. Lo hanno fatto a tal punto da aver assunto su di sé quasi tutti gli oneri di questi anni, risparmiandoli (almeno per ora, finché terrà la cassa integrazione) alla maggioranza di popolazione costituita dai padri e dai fratelli maggiori. Insomma quasi tutti i colpi li hanno incassati gli ultimi arrivati, la tipologia di residenti sul suolo nazionale demograficamente minoritaria. Nell’Ocse, il club delle trenta democrazie avanzate del pianeta, si tratta di un record che mette l’Italia al primo posto in questa graduatoria. Al secondo, un po’ distante, la Spagna. L’osservazione è di Stefano Scarpetta, capo della divisione Politiche e analisi del lavoro dell’Ocse di Parigi. Secondo le stime ufficiali, nota Scarpetta, in Italia nell’ultimo anno tutte le perdite nette di posti (il saldo fra assunzioni e licenziamenti) si concentrano nel bacino degli occupati atipici e temporanei; lì chi ha meno di 35 anni è in netta maggioranza: quasi il 60% della popolazione dei precari è nato dopo il ’74.

In Spagna, il valore comparabile segnala un’emorragia di lavoro concentrata all’85% in questa fascia di popolazione giovane, e lo squilibrio è considerato così serio da essere al centro di un dibattito sull’ingiustizia intergenerazionale. In Italia se ne parla meno. In parte, forse è perché la disoccupazione non è salita altrettanto in fretta. In Spagna è rapidamente raddoppiata ed è ormai vicina al 20% mentre, nel biennio della grande frenata, la crescita italiana del tasso dei senza- lavoro è stata di circa due punti (all’8,3%, senza contare i cassaintegrati): meno della media europea e meno degli Stati Uniti, che viaggiano intorno al 10%. Ma la peculiarità italiana è appunto nella distribuzione squilibrata dei sacrifici: la mette in luce, con elaborazioni sulla base degli ultimi dati Istat (sui primi tre trimestri dell’anno), uno studio della ricercatrice Valeria Benvenuti della Fondazione Leone Moressa di Mestre. Nel confronto fra il 2008 e il 2009 l’ecatombe del lavoro dei giovani emerge così come l’autentica cifra italiana nella crisi. Si scopre che nella fascia di popolazione di chi ha fra i 15 e i 24 anni, il numero degli occupati è sceso dell’11,6%; in quella fra i 25 e i 34 anni si è ridotto del 5,5%; invece fra gli adulti e gli anziani in età lavorativa cambia tutto. Qui le tracce della grande recessione (ancora) non sono evidenti: nella popolazione residente in Italia compresa fra 35 e i 64 anni, il tasso di occupazione è addirittura salito (dello 0,9%) fra il 2008 e il 2009, mentre intanto l’economia crollava quasi del 5%. Più avanti si va nell’età anagrafica, più sembra che i lavoratori dipendenti siano protetti dagli effetti avversi della congiuntura.

Non è dunque un caso se in Italia la maggioranza della popolazione disoccupata è costituita dalla minoranza (demografica) di popolazione giovane. Sull’esercito di 1,87 milioni di senza-lavoro italiani, oltre un milione di persone hanno meno di 34 anni; solo 840 mila ne hanno di più. Quasi il 60% dei disoccupati sono persone giovani. Si tratta di un dato che a suo modo riassume usi e costumi di una società, perché questi numeri sono il contrario esatto di ciò che ci si aspetterebbe dalla demografia. Gli adulti e gli anziani della fascia 35-64 anni sono molto più numerosi, 25,5 milioni. Il popolo dei nati fra il ’74 e il ’94 è invece di appena 14 milioni, eppure fornisce comunque il grosso dei disoccupati. Questa tendenza, presente da tempo, nella recessione non ha fatto che radicarsi. La disoccupazione nella fascia 15-24 anni nel 2009 è salita del 4,2%; quella nella fascia 25-34 dell’ 1,3%; e quella nella fascia 35-64 invece di appena 0,9%. Un motivo immediato di questa distorsione a danno dei giovani è semplice e ben noto: sono loro (con gli immigrati e i poco qualificati) a costituire il nerbo dell’esercito degli atipici, temporanei e insomma dei precari facili da licenziare alle prime difficoltà.

Gli adulti sono invece più spesso inquadrati con contratti a tempo indeterminato, molto costosi da rescindere. È un mercato del lavoro spezzato in due e i dati dell’Istat-Fondazione Leone Moressa ne confermano le caratteristiche: quasi uno ogni quattro lavoratori dipendenti sotto i 35 anni ha un contratto temporaneo, mentre sopra i 35 anni lo ha solo il 7,7% degli assunti. Il risultato? Nel 2009 il numero dei dipendenti precari è crollato (meno 10,5% per gli under-35, meno 5,8% per gli over-35) e anche quello dei dipendenti permanenti è diminuito, ma in questo caso è successo solo per i giovani. Per gli over-35, paradossalmente, il numero dei lavoratori con un contratto permanente è invece addirittura cresciuto malgrado la crisi (più 2,4%). È proprio la strana storia dei dipendenti permanenti — crollati fra i giovani, cresciuti fra gli adulti e anziani— a segnalare che forse il precariato non spiega tutto del trattamento punitivo riservato in Italia ai giovani. Espressa in molti meccanismi, sembra pesare anche la preferenza generale di una società anziana per i suoi membri anziani.

L’Italia concorre infatti anche per un altro primato internazionale: è abitata da persone molto più in là con gli anni che altrove. Secondo l’annuario della Cia, l’età mediana nel Paese è la terza più alta al mondo (43,3 anni) subito dietro il Giappone e la Germania. Le fette di popolazione nelle fasce 35-44, 45-54 e 55-64 anni sono tutte molto più numerose di quella della fascia 15-24 e, ancora di più, della fascia 5-14. Gran parte della popolazione è in età piuttosto matura. Forse è dunque normale che attraverso il welfare, i partiti, i sindacati o nelle imprese, emergano scelte collettive che favoriscono le maggioranze relative anziane (più organizzate, per il fatto stesso dei loro privilegi) a scapito delle minoranze giovani e disorganizzate. La stessa tendenza si nota del resto anche nell’andamento delle retribuzioni: quelle dei giovani e precari non solo sono più basse, crescono anche molto più lentamente. Così la forbice retributiva si allarga: fra il 2006 e il 2008, la differenza nella retribuzione media giornaliera fra un contratto permanente e uno a tempo determinato è salita da 18,17 a 21,38 euro: la crisi anche qui ha ampliato gli squilibri ai danni delle ultime generazioni.

La busta-paga dei lavoratori dipendenti permanenti è cresciuta del 7,22%, mentre quella dei dipendenti a tempo determinato solo del 4,04%. Su questi valori, elaborati in base ai dati Inps, può incidere certo il fatto che molti atipici sono impegnati in mestieri semplicemente pagati peggio. E conta senz’altro la posizione di debolezza del precario nel negoziare il proprio compenso. L’impressione generale è però quella di un’Italia bizzarramente "democratica" nel modo di reagire alla grande crisi: ha deciso quasi tutto la maggioranza anziana, e lo ha fatto a proprio favore. Che poi davvero le convenga soffocare le speranze di quelli venuti dopo, la loro crescita professionale e capacità produttiva, le nuove nascite e il futuro di tutti—in una spirale di sempre maggiore invecchiamento "democratico " — è ovviamente un’altra storia.

Federico Fubini

23 gennaio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

Giovanni Stringa

23 gennaio 2010

 

 

 

 

le storie che si incrociano negli uffici sindacali

"Turni di notte per 4 anni, me ne vado

Mi hanno spremuta come un limone"

G.R., 34 anni: licenziato dalla mia azienda per dichiarato fallimento, alla riapertura hanno assunto tutti tranne me

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Pratiche raccolte alla Camera del Lavoro dei Milano (Craighero)

Pratiche raccolte alla Camera del Lavoro dei Milano (Craighero)

MILANO - "Dopo sette anni di lavoro come responsabile magazziniere di una società che si occupa di grossi formati per la carta - racconta G.R., 34 anni, di Milano, fino a un anno fa forte di un’assunzione a tempo indeterminato - sono stato licenziato dalla mia azienda per dichiarato fallimento. Alla riapertura della nuova filiale, sono stati assunti tutti i miei colleghi tranne me. Non mi hanno dato nessuna avvertenza o motivazione. Detto e fatto: sono rimasto con le mani nel sacco". Senza pensarci due volte G.R. ha iniziato a comporre il mosaico per capire quali erano state le motivazioni che avevano indotto la sua azienda a prendere tale decisione.

COPERTURA - "Avevo capito che il dichiarato fallimento era una copertura, mentre la nuova struttura aveva aperto con un altro nome e ragione sociale. Apparentemente non aveva legami con la precedente società. Infatti, erano cambiati sia i titolari che i vertici aziendali, tuttavia con delle indagini più approfondite ho scoperto che c’erano dei collegamenti diretti tra la prima e la seconda società. Bisogna prendere con molta cautela le dichiarazioni improvvise di fallimento, specialmente se si ha un contratto. Posso dare un consiglio? Fatevi valere nelle sedi opportune". Sono le tante storie che si incrociano nei corridoi delle Camere del Lavoro o negli uffici sindacali territoriali. Tutte diverse, ma in fondo tutte uguali.

Lavoratori in attesa fin dall'alba alla Camera del Lavoro di Milano (Craighero)

Lavoratori in attesa fin dall'alba alla Camera del Lavoro di Milano (Craighero)

TEMPO DETERMINATO - C'è per esempio T.G di Modena, 34 anni, impiegata della Coop a tempo determinato, assunta in prova tramite l’agenzia interinale. Dopo un anno e mezzo di tira e molla a febbraio le scadrà l’ennesimo contratto a termine. "È molto difficile che io venga assunta - dice l’impiegata -, perché nel frattempo tra la fine del secondo e l’inizio del terzo contratto a tempo determinato sono rimasta incinta. Ho quasi trentacinque anni e questo balletto dei contratti mi ha sempre impedito di vivere serenamente la maternità. Sono precaria da quando ho finito gli studi a 26 anni. Che cosa devo aspettare? È chiaro che quando sono rimasta incinta non ci ho pensato due volte e per fortuna mio marito è assunto a tempo indeterminato. Tireremo la cinghia per qualche anno, anche se spero che mi assumano. Ho dato tutta me stessa in questi anni".

BERSAGLI FACILI - Tra loro, c'è anche chi rimane perché non ha scelta. "Ho 41 anni e sono entrata in una azienda di trasporti internazionali con un team italiano nel 2000 - ci racconta C.G, quadro e coordinatrice del team -. Tutto bene fino a quando non è arrivata la crisi. Cercavano bersagli. Bersagli facili su cui programmare un allontanamento progressivo. Il motivo nel mio caso? L’ultima gravidanza. Lentamente mi hanno tolto tutti gli incarichi e benefit, proponendomi un trasferimento impossibile con una famiglia a cui badare. Al rientro della maternità mi sono ritrovata a fare la call center e a svolgere dei lavori che necessitavano si e no due ore scarse al giorno, quando ne dovevo riempire otto". Ma c’è anche chi, arrivato allo sfinimento, desidera solo mettere una pietra sopra a un rapporto di lavoro andato male e che di imbarcarsi in un’azione legale non ci pensa proprio.

"SPREMUTA COME UN LIMONE" - È il caso di L.B., 33 anni, di Milano, che si occupa della registrazioni di assegni in una società appaltata dalle banche che ha deciso di gettare la spugna e provare a cambiare vita. "Sono quasi quattro anni che faccio il turno di notte senza battere ciglio. Non c'è lavoro? Mi sono adattata alla situazione, tuttavia ora sono stanca: la mia azienda ha cambiato ragione sociale tre volte negli ultimi due anni e mi hanno fatto cambiare contratto per ben tre volte. Prima c’era la corsa al contratto a tempo indeterminato e mi hanno spremuta come un limone per farmi raggiungere tutti gli obiettivi, poi una volta raggiunta la famigerata certezza, è iniziata la processione dei cambi di identità e contratti con dei conseguenti ridimensionamenti economici. Adesso, proprio in questi giorni, siamo alla soglia del dichiarato fallimento. Perché dovrei far valere i miei diritti? Per perdere altri anni della mia vita a inseguire chimere? Risultato: me ne andrò di mia spontanea volontà".

Ambra Craighero

31 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Chi inizia una vertenza o un contenzioso legale deve essere seguito passo passo

"Sono senza stipendio da dieci mesi"

Le storie di ordinaria prevaricazione

I dossier sul tavolo di Annalisa Rosiello, che lavora allo Sportello consulenze e mobbing della Camera del Lavoro

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Annalisa Rosiello (Craighero)

Annalisa Rosiello (Craighero)

MILANO - Tutti la chiamano semplicemente Annalisa. È dal 2002 che si divide tra il suo studio privato di consulenze e lo sportello della Camera del Lavoro di Milano. La sua scrivania è travolta da un mare di scartoffie tutte accuratamente custodite in cartelline colorate. Pigne esponenziali, ma ognuna di loro ha un nome e cognome. Lì dentro c’è una storia da vivere e risolvere, come un cubo di Rubik.

GLI ASSISTITI - "Nell'ultimo anno e mezzo, da quando la crisi si è fatta sentire - sottolinea Annalisa Rosiello, avvocato dello Sportello consulenze e mobbing della Camera del Lavoro di Milano - è cambiato l’impatto sociologico delle persone che si rivolgono a me: parecchi anziani lontani dal prepensionamento che vengono individuati come bersagli di personale in eccedenza; donne in stato interessante o con due-tre figli che si trovano a vivere nel posto di lavoro una "punizione" per le gravidanze con conseguenti dimensionamenti al fine del licenziamento; oppure donne incinte che con contratti precari - variano in media e in successione dai quattro o cinque anni - sono in attesa del riscatto definitivo e durante l’ultimo periodo rimangono in stato interessante, perdendo così il posto di lavoro, oppure licenziamenti strumentali costruiti ad hoc contro persone che hanno problemi psicofisici".

Vertenze impilate su una scrivania (Craighero)

Vertenze impilate su una scrivania (Craighero)

CASI RICORRENTI - L'agenda degli appuntamenti è stracolma. Chi inizia una vertenza o un contenzioso legale ha bisogno di essere seguito passo per passo. Ciò nondimeno è importante prevenire le situazioni critiche quando assumono dei contorni poco chiari o degenerano in una serpentina senza via d’uscita. "Bisogna innanzitutto tenere gli occhi aperti - spiega l’avvocato Rosiello indicando quella che a suo parere è la regola numero uno -. Sono tanti i modi con cui i datori di lavoro prevaricano i diritti dei lavoratori". Ma quali sono le casistiche più ricorrenti? "Ce ne sono alcune che si presentano sistematicamente - fa notare il legale -. Per esempio le assunzioni pilotate contro le donne in maternità, quando hanno appena superato l'anno di vita del bambino - entro il quale vige il divieto di licenziamento e di trasferimento -: la lavoratrice spesso viene immediatamente trasferita al termine del periodo protetto, sapendo che probabilmente non potrà accettare un cambiamento radicale dovendo gestire un bimbo piccolo e quindi sarà più debole e più propensa a un eventuale abbandono". C’è poi il caso delle mancate assunzioni dei disabili con il pretesto del non superamento del periodo di prova: "In questo caso le aziende, senza addurre grandi motivazioni, disattendono la legge per l’avviamento delle persone diversamente abili" spiega l’avvocato.

SENZA STIPENDIO - "Altre situazioni - aggiunge - sono gli allontanamenti del personale con reiterate lettere disciplinari senza motivi reali e di grave contingenza; i licenziamenti strumentali messi in atto contro chi è lontano dalla pensione (mancano in media dai 6 agli 8 anni) con demansionamenti per accelerare un processo di instabilità psicofisica che scaturisce per vie naturali in un allontanamento spontaneo dell’individuo; i continui cambi di ragione sociale delle aziende o i cambi di proprietà, che non dovrebbero in nessun modo interferire sul contratto del lavoratore anche se in realtà ciò avviene spesso con tagli di stipendio del tutto ingiustificati". È quasi sera. Nella segreteria telefonica ci sono diciotto messaggi inascoltati. L’avvocato schiaccia il pulsante e parte subito il primo: "Mi chiamo Olga, sono dieci mesi che non percepisco lo stipendio, la mia azienda ha cambiato tre ragioni sociali in cinque anni e ora mi chiedono di accettare un contratto ridimensionato lontano anni e luce da quello che avevo firmato all’inizio del 2003". Il 2003, altri tempi; storie di ordinaria prevaricazione, oggi.

Ambra Craighero

31 gennaio 2010

REPUBBLICA

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.repubblica.it

2010-01-31

All'Angelus il Pontefice chiede la massima tutela dei lavoratori

e delle loro famiglie. "Mi associo all'appello della Cei"

Occupazione, l'appello del Papa

"Fare il possibile per Fiat a Alcoa"

Occupazione, l'appello del Papa "Fare il possibile per Fiat a Alcoa"

CITTA' DEL VATICANO - "Fare tutto il possibile per tutelare e far crescere l'occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie". E' l'appello lanciato oggi da Benedetto XVI facendo esplicito riferimento "ad alcune realtà difficili in Italia", come la Fiat di Termini Imerese e l'Alcoa di Portovesme.

La crisi economica sta causando la perdita di numerosi posti di lavoro - ha detto il Papa al termine dell'Angelus -, e questa situazione richiede grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti". "Penso ad alcune realtà difficili in Italia - ha proseguito -, come, ad esempio, Termini Imerese e Portovesme".

"Mi associo pertanto all'appello della Conferenza Episcopale Italiana - ha aggiunto Benedetto XVI -, che ha incoraggiato a fare tutto il possibile per tutelare e far crescere l'occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie". Oggi in Piazza San Pietro, per assistere all'Angelus del Papa, c'erano anche alcuni operai dell'Alcoa di Portovesme con uno striscione.

(31 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Esteri

 

 

Ieri il gesto disperato di S.M., 36 anni, da due mesi disoccupato

Inutili i tentativi di salvarlo: le ustioni erano troppo gravi

Senza lavoro, si era dato fuoco

morto l'operaio di Bergamo

BERGAMO - E' morto questa mattina, l'operaio che ieri si era dato fuoco per aver perso il lavoro, due mesi fa. Subito dopo essere stato soccorso dai passanti che avevano spento le fiamme, S.M., 36 anni, di Bergamo, era stato portato agli Ospedali Riuniti di Bergamo, quindi trasferito nel reparto di Rianimazione dell'ospedale di Verona Borgo Trento, dove si trova un centro specializzato nella cura delle ustioni. Le bruciature però sono risultate troppo gravi, e l'uomo è deceduto.

La tragedia è avvenuta ieri mattina in una piazzola lungo la provinciale tra Brembate e Marne. L'uomo si è fermato con l'auto, è sceso, si è cosparso di benzina e poi ha appiccato le fiamme. Due artigiani di passaggio che hanno assistito alla scena sono intervenuti, cercando di spegnere le fiamme con giacche. Poi è arrivata una donna che ha spento il fuoco con l'estintore che aveva in auto. Un quarto automobilista ha praticato il massaggio cardiaco al ferito fino all'arrivo del 118.

L'operaio aveva lavorato fino allo scorso novembre in una ditta di Zingonia, che dopo due mesi di cassa integrazione era stata chiusa. Lasciandolo senza lavoro, e con un carico di disperazione che non è riuscito più a sopportare.

(31 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Cronaca

 

 

 

La vicenda paradossale di una dipendente del call center di Trino Vercellese:

la mancanza degli emolumenti non è "giusta causa" per dimettersi

Phonemedia, niente stipendio

ma è vietato licenziarsi

L'azienda non paga da mesi, amministratori spariti nel nulladi SALVATORE MANNIRONI

Phonemedia, niente stipendio ma è vietato licenziarsi

ROMA - Alla Phonemedia è vietato licenziarsi, anche se non ti pagano. I giorni di mobilitazione fissa sono diventati oltre 60, le retribuzioni di ottobre non si vedono ancora, gli amministratori neanche, le sedi sono chiuse e i settemila dipendenti sono quasi tutti fermi. Tutto ciò in un'impresa che non ha chiesto lo stato di crisi, non ha chiesto cassa integrazione o mobilità né avviato procedure di licenziamento. Come forse si addice a un'azienda diventata fantasma, però, l'ultimo atto della vertenza rasenta il teatro dell'assurdo.

E' successo che una dipendente del call center di Trino Vercellese ha inviato all'amministrazione la lettera di dimissioni, indicando come giusta causa la mancata retribuzione degli ultimi mesi. Pochi giorni dopo ha ricevuto a casa la risposta. L'azienda respinge "integralmente la sussistenza della giusta causa di recesso in quanto non contrattualmente prevista". Come dire: il fatto che non ti paghiamo per mesi non ti dà il diritto di dare le dimissioni. L'azienda riconosce che il ritardo nel pagamento degli stipendi "perdura da diversi mesi", ma proprio per questo ritiene "pretestuoso" indicarlo "oggi quale causa idonea a non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro". Non solo. Poiché "l'immediato recesso ha recato un rilevante danno all'operatività della struttura di appartenenza e problematiche organizzative", comunica alla dipendente che procederà "senza dubbio" a trattenerle dallo stipendio la penale "per mancato preavviso". Riservandosi "ogni altra azione", l'azienda ritiene comunque risolto il rapporto di lavoro "per dimissioni volontarie". Firmato "Raf Spa", con tanto di "Distinti Saluti".

 

Chi ha firmato la lettera e per conto di chi? I lavoratori di Trino, riuniti nel comitato "Cuffie in agitazione", non ne hanno idea, anche perché a loro l'ufficio legale aziendale di Novara risulta chiuso. Non sanno neppure se il mittente sia la vecchia proprietà o il gruppo Omega che ha rilevato la Phonemedia a settembre, inaugurando da subito la strategia del "lavori subito, ti pago fra quattro mesi". "Soprattutto - dicono i lavoratori - non si capisce come facciano a contestare il "rilevante danno all'operatività della struttura" visto che la sede è occupata e inattiva dal dieci dicembre del 2009". La condizione dei lavoratori di Trino è la stessa dei colleghi in altre undici città, da Novara e Monza a Catanzaro e Trapani. In tutte le sedi, da dicembre, continuano le iniziative di protesta davanti a sedi istituzionali, i blocchi stradali, i cortei. Finora, però, il governo non si è ancora deciso a pretendere chiarezza dalla nuova proprietà; la stessa che a giugno ha rilevato le attività e i dipendenti di Agile-Eutelia salvo poi annunciare oltre mille e 200 licenziamenti.

© Riproduzione riservata (31 gennaio 2010)

 

 

 

 

L'emendamento dell'Idv approvato in Senato prevede di agganciare le retribuzioni

a quelle dei parlamentari. Il ministro: "Incostituzionale, se ne occuperà la Camera"

Tetto agli stipendi dei manager

Tremonti: la norma cambierà

Tetto agli stipendi dei manager Tremonti: la norma cambierà

Giulio Tremonti

SESTOLA (Modena) - La questione del tetto agli stipendi dei manger delle società quotate e delle banche è "un tema importante": lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, confermando però che la norma approvata al Senato nel disegno di legge comunitaria - con un emendamento del senatore Idv Elio Lannutti - sarà modificata nel passaggio del provvedimento alla Camera.

"E' un tema importante - ha spiegato Tremonti a margine di un incontro sui temi della montagna, a Sestola - abbiamo fatto sapere che era una norma incostituzionale". A chi gli chiedeva se la misura sarà modificata a Montecitorio il ministro ha risposto "sì". Sull'emendamento dell'Idv in assemblea di Palazzo Madama c'è stato il parere favorevole sia del relatore che del governo: la norma dice che il massimo dello stipendio dei manager non deve superare quello dei parlamentari.

E oggi, dopo l'annuncio di modifica, è giunta la reazione di Lannutti: "Tremonti vada a spiegare ai milioni di precari e di disoccupati che è contario al tetto dei manager - quegli stessi manager che guadagnano milioni di euro e che per le proprie politiche sbagliate stanno costringendo migliaia di lavoratori a protestare. Altro che Robin Hood: a Tremonti sta stretto anche l'appellativo di sceriffo di Nottingham".

Ma oggi il ministro ha parlato anche d'altro. Ad esempio del fatto che per risolvere i problemi globali le regole finanziarie, tecniche e dei banchieri sono "inutili e dannose"; serve invece "un impegno politico e la politica prende forma nei trattati. Non bastano i convegni, servono i Parlamenti". "Di tutti i discorsi fatti a Davos - ha aggiunto - quello di maggiore spessore è quello del presidente Sarkozy su una nuova Bretton Woods: un trattato mondiale dell'economia è la cosa più seria e più difficile".

(30 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Economia

 

 

 

 

L'inchiesta. La bancarotta degli Stati nuova minaccia globale

Molti governi hanno avviato o programmato interventi severi

Tra "Pigs" e Paesi Baltici

Eurolandia teme l'effetto domino

dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI

Tra "Pigs" e Paesi Baltici Eurolandia teme l'effetto domino

Proteste al vertice economico di Davos

"TOO big to fail", troppo grande per essere lasciato fallire. È il pericolo che ha piegato i governi di tutto l'Occidente nel 2008 di fronte al collasso dei giganti bancari. Impossibile subìre il crac delle maggiori banche americane, inglesi, svizzere o belghe: gli Stati sono dovuti intervenire, dissanguando le loro finanze.

"Too big to fail", oggi l'incubo si ripresenta sotto un'altra forma, non meno drammatica. Che fare se è un intero Stato come la Grecia a rischiare la bancarotta, quali le conseguenze per l'Eurozona? Possiamo permetterci di assistere senza intervenire? E se il crollo greco fosse il primo di un effetto-domino, destinato a travolgere altri paesi? Partendo dalla "periferia": perché lì si trovano paesi che già prima della crisi avevano finanze pubbliche più dissestate, Stati meno efficienti, sistemi industriali meno competitivi.

Questa nuova emergenza si è imposta ai leader europei mentre affluivano al World Economic Forum. All'inizio della settimana il premier greco Georgios Papandreou ha dovuto rivolgersi in affanno ai mercati internazionali per finanziare il suo debito pubblico. In apparenza ha guadagnato tempo, collocando titoli del Tesoro per 5 miliardi di euro. A un costo altissimo: un interesse del 6,25% che andrà a cumularsi ai debiti greci. E la tregua è stata illusoria. Gli stessi investitori internazionali che avevano presentato domande cinque volte superiori all'offerta di Bot greci, 24 ore dopo fuggivano disordinatamente. Vendite in massa di titoli di Atene hanno fatto schizzare i tassi ancora più su, fino a 3,7 punti sopra i Buoni del Tesoro tedeschi: una forbice-record mai raggiunta da quando la Grecia entrò nell'euro. Un segnale tremendo in vista dei prossimi appuntamenti coi mercati. Quest'anno Papandreou deve riuscire a raccogliere altri 54 miliardi, la metà entro aprile. E se non ce la facesse?

 

Il senso di panico è accresciuto da un giallo, la voce poi smentita secondo cui la Cina avrebbe rifiutato un salvagente finanziario ad Atene. "Voci interessate - ha denunciato Papandreou a Davos - manovre speculative orchestrate da interessi potenti. Colpiscono noi ma hanno in mente bersagli più grossi". Dopo la Grecia il Portogallo, poi la Spagna, infine l'Italia? Le accuse di Papandreou, formato alla London School of Economics, hanno colpito la platea dei Vip a Davos. Coincidono con altre coincidenze inquietanti: la volatilità del mercato mondiale dei bond (obbligazioni e titoli di Stato) assomiglia pericolosamente all'estate del 2007, quando si avvertirono i primi segnali premonitori della grande crisi. Sono circolate voci su un'ipotesi "californiana" per tamponare la bancarotta greca: emettere cambiali (come gli I. O. U. con cui Arnold Schwarzenegger paga i suoi fornitori), ma in dracme anziché in euro, un passo che potrebbe segnare il primo percorso di fuoruscita dall'euro per un paese membro.

Fantapolitica alimentata da chi sta prendendo posizioni speculative? La confusione del momento ha ricordato a molti il precedente del 1992, quando George Soros fece crollare la lira italiana e la sterlina, costrette a uscire dallo Sme. Al World Economic Forum è andata in scena una sconcertante cacofonìa delle autorità europee. Di fronte all'emergenza greca si sono levate voci che garantivano un intervento solidale dell'Unione. "Non è solo una questione nazionale, questa è una preoccupazione europea", ha detto il presidente della Commissione José Manuel Barroso. "Il club dell'euro è forte, ha legami di reciproco sostegno", gli ha fatto eco il premier spagnolo José Luis Zapatero che ha la presidenza di turno dell'Unione, ma è anche il "secondo o il terzo della lista" nel mirino della speculazione. Il premio Nobel dell'Economia Joseph Stiglitz ha incoraggiato Bruxelles a "sospendere le regole che vietano i salvataggi delle nazioni, perché ora si tratta di stabilizzare l'Europa stessa". Poi dal più autorevole rappresentante della Germania a Davos è arrivato uno stop brutale: "I greci risolvano i loro problemi - ha detto il ministro dell'Economia Rainer Bruederle - non sta certo al contribuente tedesco o francese farsene carico". E' un atto di egoismo, ma le motivazioni politiche sono comprensibili. I leader tedeschi osservano quel che accade in America: un'ondata populista contro Barack Obama, accusato di avere dissanguato le finanze pubbliche per aiutare Wall Street e l'industria dell'auto. La stessa ondata potrebbe nascere a Berlino e Parigi, se in una congiuntura sociale già difficile i contribuenti tedeschi e francesi fossero costretti a pagare per il crac greco, poi quello portoghese o spagnolo o lituano. Il populismo si rivolterebbe contro l'idea stessa dell'Europa. La linea della Germania ora sembra vincente.

La Commissione europea starebbe per mandare un ultimatum ad Atene con richieste pesanti: tagli secchi agli stipendi pubblici, tetti alle pensioni. Una terapia-choc ancora più severa di quella già varata da Papandreou, che ha annunciato una cura dimagrante nell'amministrazione pubblica e il congelamento delle retribuzioni. La Suddeutsche Zeitung anticipa un memorandum di Bruxelles dove si evocano "rischi a lungo termine di rialzi nei tassi dei Bot in Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia". E' d'accordo il direttore del Fondo monetario internazionale, Olivier Blanchard: "Altri rischiano la fine della Grecia se non adottano tagli ai deficit pubblici".

La corsa per evitare il contagio è scattata. La Spagna prepara 50 miliardi di tagli alle spese. Il Portogallo ha annunciato una manovra per ridurre il deficit pubblico al 9% del Pil. L'Irlanda presenta un piano con riduzioni degli stipendi statali e risparmi di spesa del 6%, il rigore più severo da una generazione. Il fianco orientale dell'Unione si adegua. La Repubblica cèca vara tagli per passare dal 9% di deficit/Pil al 3% entro il 2014, la Bulgaria riduce del 15% le spese statali, la Romania ha un bilancio di austerità che pesa due punti percentuali di Pil. Perfino uno dei paesi più solidi, la Francia, corre ai ripari. Il primo ministro François Fillon ieri si è detto "determinato a prendere misure senza precedenti, per riportare il disavanzo sotto il 3% entro il 2013". Il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, disegna uno scenario cupo: "Il risanamento delle finanze pubbliche ci affliggerà per i prossimi 5, 6 o 7 anni, a seconda dei paesi".

Anche negli Stati Uniti, che pure sono una unione federale da oltre due secoli, la solidarietà ha dei limiti. Washington non interviene a salvare la California dal crac. Ma l'America ha altri ammortizzatori: il bilancio federale paga almeno le pensioni e la sanità; gli americani emigrano facilmente dagli Stati in crisi verso quelli più dinamici; e sono disposti a sacrifici per noi inauditi, come il taglio del 10% degli stipendi agli insegnanti californiani. Per il Vecchio continente l'effetto-domino innescato dalla Grecia può segnare l'inizio di una lunga e dolorosa ritirata dello Stato sociale, la rimessa in questione di tutto quello che è stato definito il "modello europeo".

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L'UNITA'

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2010-01-31

Occupazione, l'appello del Papa. "Tutelare i lavoratori Fiat e Alcoa"

"Fare tutto il possibile per tutelare e far crescere l'occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie". È l'appello lanciato oggi da Benedetto XVI facendo esplicito riferimento "ad alcune realtà difficili in Italia", come la Fiat di Termini Imerese e l'Alcoa di Portovesme.

La crisi economica sta causando la perdita di numerosi posti di lavoro - ha detto il Papa al termine dell'Angelus -, e questa situazione richiede "grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti". "Penso ad alcune realtà difficili in Italia - ha proseguito -, come, ad esempio, Termini Imerese e Portovesme".

"Mi associo pertanto all'appello della Conferenza Episcopale Italiana - ha aggiunto Benedetto XVI - che ha incoraggiato a fare tutto il possibile per tutelare e far crescere l'occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie". Oggi in Piazza San Pietro, per assistere all'Angelus del Papa, c'erano anche alcuni operai dell'Alcoa di Portovesme con uno striscione.

31 gennaio 2010

 

 

 

 

Omsa, che crisi: a Faenza lavoratrici in rivolta

di Rinaldo Gianolatutti gli articoli dell'autore

Lo stabilimento Omsa costeggia l’autostrada, un lungo cubo basso e grigio profilato di giallo. Al casello di Faenza si esce, si svolta a destra, poche centinaia di metri ed ecco i cancelli. Sono presidiati. Un tendone, un prefabbricato. Le bandiere di tutti i sindacati. Si gela ed è tornata pure la neve. Un paio di stufe fai-da-te attutiscono il freddo, un uomo taglia i bancali per far legna, una giovane lavoratrice col cappellino di lana targato Dolce & Gabbana organizza i turni del presidio: quattro ore a testa per ventiquattr'ore, senza mollare. Si raccolgono le disponibilità per l’intero mese di febbraio, si fa l’elenco dei numeri di telefono, ci si organizza per il cibo e il caffè. In caso di emergenza la "rete" mobilita tutti i lavoratori in pochi minuti.

"Da qui non entra e non esce più niente, non vogliamo che si portino via i macchinari e i prodotti. Questo è il nostro posto di lavoro, non ce ne andremo così facilmente" avverte Valentina Drei, 35 anni, dipendente del "re del collant", il gruppo Golden Lady di Castiglione delle Stiviere, di proprietà di Nerino Grassi leader mondiale delle calze per donne. Questa non è solo una vertenza sindacale, è una battaglia civile e politica. C’è dentro tutto, è un caso esemplare di quest’Italia malmessa e sfilacciata. I dipendenti dello stabilimento sono 350, di cui 320 donne. E sono loro a guidare la lotta. Le parole che si sentono sono sagge, nessuno alza la voce. Sono persone abituate a faticare per andare avanti, a trainare la famiglia e i figli, a distinguere tra diritti e privilegi, a mostrare coi fatti la solidarietà e a fare politica, quella vera, partendo dalle cose concrete come ha insegnato la cultura di queste parti.

Faenza è una città splendida, il centro storico è di una bellezza commovente. Le trattorie offrono "il menù a prezzo fisso per operai e studenti". Qui la democrazia affonda le radici nella Resistenza. In questo pezzo di Romagna ci sono ancora le sezioni del Pri, e fanno quasi tenerezza. Questa è la città di Benigno Zaccagnini, segretario di una dc presentabile, e qui è nata Laura Pausini che gira il mondo a cantare. Per decenni lo sviluppo è stato nel solco del "modello emiliano", ammesso che esista ancora: crescita economica da primato accompagnata dalla stabilità sociale. Ma oggi la crisi mette in discussione conquiste che sembravano definitive. "Tutto il nostro territorio sta soffrendo, dalla ceramica alla meccanica, ma a volte la crisi è una giustificazione per le aziende per realizzare riorganizzazioni che in altri momenti non avrebbero nemmeno pensato" spiega Samuela Meci, giovane sindacalista della Camera del lavoro. Davanti a certe ristrutturazioni, a dolorose scelte aziendali dovrebbe essere la politica a intervenire, a dettare le condizioni. Ma la politica industriale è stata dimenticata e tra i politici si fa fatica a trovare qualcuno credibile. "Siamo sotto elezioni, davanti alla fabbrica c’è la sagra dell’assessore, e va bene... ma non vogliamo farci strumentalizzare, stiamo parlando del futuro di centinaia di famiglie" aggiunge l’esponente della Cgil.

Il caso Omsa è difficile da capire. Il gruppo va bene, è una società di profitti, ha la leadership di mercato, una proprietà familiare e solida. E allora? Lo stabilimento di Faenza va chiuso non perché non funziona, ma per spostare le produzioni nel distretto mantovano e nelle fabbriche in Serbia dove gli operai costano poco. Tagliare i costi, tagliare, tagliare per fare più profitti. Ma la delocalizzazione, a volte, non è così semplice, comporta problemi.

Gli operai serbi (oltre 1600) della Omsa hanno fatto quattro giorni filati di sciopero per avere un aumento di cento euro al mese (il salario era attorno ai 300 euro) e un direttore di stabilimento è stato malmenato dai lavoratori inferociti che non avevano ricevuto il cedolino della retribuzione. Un’impresa può anche decidere di delocalizzare per sfruttare meglio i lavoratori a basso costo, ma poi, alla fine, magari qualcuno s’arrabbia.

Le donne dell’Omsa sono di fronte a un impegno gravoso e dall’esito per nulla scontato. Emanuela Nanni, 47 anni di cui 23 passati in fabbrica, lavora alle confezioni. Spiega: "Golden Lady è un grande gruppo, non è pensabile che a Mantova facciano gli straordinari, che in Serbia vogliano assumere ancora centinaia di operai e noi invece chiudiamo tutto. Se ci sono difficoltà, se davvero c’è la crisi allora spalmiamola un po’ su tutti, facciamo i contratti di solidarietà che ci consentono di andare avanti, di prendere fiato e di studiare altre soluzioni per il futuro. Ma non si può mandarci a casa con un calcio nel sedere, qui non si trova più lavoro bisogna difendere quello che abbiamo".

Le operaie Omsa sono un bastione della città. L’azienda nacque nel 1940 per iniziativa dei conti Orsi e Mangelli, imprenditori del petrolio da cui traevano la fibra per le calze. Negli anni Settanta la società occupava mille dipendenti, diventando sinonimo di successo grazie anche a una comunicazione pubblicitaria efficace e alla sponsorizzazione di Miss Italia. "Omsa, che gambe..." si ascoltava a Carosello. Poi la società fu acquisita dalla famiglia Grassi di Mantova e gli addetti sono diminuiti nel tempo. Una volta la fabbrica era in centro città, le lavoratrici avevano addirittura la manicure in azienda perché le unghie dovevano essere sempre a posto per evitare di danneggiare i fili e il tessuto. Bisognava togliersi anelli, spille, orecchini, nulla doveva minacciare la produzione della calza. "Una volta eravamo legate, c’era più solidarietà anche se oggi ci siamo ritrovate, stiamo facendo una bella battaglia insieme" racconta Marina Francesconi, 49 anni, un figlio di 23 anni e un marito metalmeccanico, "il padrone con la nuova fabbrica ci ha voluto dividere, lo ha studiato: nella vecchia fabbrica andavamo in mensa tutte insieme, ora si fanno i turni anche nello stesso reparto, non si riesce mai a parlare, a discutere dei problemi del lavoro". Le tecnologie non hanno alleviato il peso delle linee e dei turni ( qui si lavora dalle 5 alle 13 e dalle 13 alle 21), anzi.

Roberta Donati, 46 anni, di cui 25 a fabbricare calze, argomenta: "La macchina, la tecnologia ti impone ritmi sempre più accelerati e tu devi rispettare i tempi. C’erano certe mie colleghe che per far bella figura col capo stavano dietro a quei ritmi sempre più elevati, ma non ne vale la pena. Le più esperte tra di noi guadagnano 1000-1050 euro al mese, le nuove arrivano a 900 euro, diciamo che il padrone i soldi non ce li regala, ce li sudiamo tutti".

Il lavoro per le donne è stata una garanzia, una strada di crescita. "Le famiglie hanno fatto i passi in avanti perché c’era il lavoro, la gente si è comprata la casa e ha mandato i figli a studiare perché lo stipendio era sicuro alla fine del mese" racconta Nadia Liverani, 46 anni, "adesso cosa facciamo? L’età media delle lavoratrici dell’Omsa è appena sopra i quarant’anni, dove andiamo se perdiamo il lavoro?".

Qualcuno ha dovuto rivedere i propri progetti di vita. Daniela Ghiselli, da 25 anni in fabbrica, separata, un figlio di 18 anni: "Con questo stipendio da sola non ce la faccio, non posso pagare l’affitto e fare la spesa. Sono tornata dai miei genitori, mi danno una mano".

29 gennaio 2010

 

 

 

 

Licenziato, si dà fuoco e muore

È morto questa mattina l'operaio che ieri si era dato fuoco per aver perso il lavoro, due mesi fa. Subito dopo essere stato soccorso dai passanti che avevano spento le fiamme, S.M., 36 anni, di Bergamo, era stato portato agli Ospedali Riuniti di Bergamo, quindi trasferito nel reparto di Rianimazione dell'ospedale di Verona Borgo Trento, dove si trova un centro specializzato nella cura delle ustioni. Le bruciature però sono risultate troppo gravi, e l'uomo è deceduto.

L'operaio aveva lavorato fino allo scorso novembre in una ditta di Zingonia, che dopo due mesi di cassa integrazione era stata chiusa. Lasciandolo senza lavoro, e con un carico di disperazione che non è riuscito più a sopportare.

31 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Scajola: "Con Fiat dialogo riannodato". Sindacati prudenti

"Con l'incontro di oggi, abbiamo riannodato le fila per una collaborazione tra Governo, Fiat e parti sociali". Lo ha detto il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, al termine del tavolo sulla Fiat che si è svolto ieri al ministero e a cui hanno partecipato il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, i tre leader sindacali Epifani, Bonanni e Angeletti e, per la Fiat, il responsabile delle relazioni industriali Paolo Rebaudengo. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, non si è presentato. "Questa riannodata fiducia dei

rapporti - ha aggiunto Scajola - tiene presente la volontà che cresca la produzione Fiat in Italia in modo sensibile, con la

tenuta dei livelli occupazionali". La Fiat "è un pilastro industriale italiano, ma il sistema industriale italiano non può perdere dei pezzi". Per il 5 febbraio è stato convocato il tavolo tecnico su Termini Imerese che "esaminerà le diverse ipotesi di sviluppo" dello stabilimento siciliano "dove la Fiat parteciperà attivamente nella ricerca delle soluzioni", ha detto Scajola. "Ci sono 6-7 proposte pervenute che dovremo valutare con grande attenzione". Il ministro avrebbe poi sottolineato come sia auspicio del Governo che "nello stabilimento siciliano rimanga la produzione legata all'automobile". "Fiat è un asset fondamentale per il Paese e il Governo intende agevolarne l'attività", avrebbe aggiunto Scajola, definendo "inopportuna" la decisione di Fiat di fermare per due settimane gli stabilimenti. Altri tavoli tecnici sulle vertenze relative agli altri stabilimenti ci saranno "non appena Fiat ci presenterà il piano industriale dettagliato di investimenti per il prossimo biennio". Quanto agli incentivi auto per il 2010, la decisione verrà presa in sede europea ma "lo diremo in tempi brevi in maniera da dare indicazione chiara alla gente se ci saranno o meno incentivi quest'anno", ha aggiunto il ministro.

Per il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, "Fiat non può considerarsi fuori dalla partita per trovare soluzioni possibili per continuare a produrre auto a Termini Imerese". Epifani, al termine dell'incontro al ministero, ha dichiarato che il suo "giudizio" è

"sospeso", aggiungendo: "Abbiamo chiesto di risolvere il problema dei lavoratori che sono sul tetto. Abbiamo sollecitato il piano

industriale per tutti gli stabilimenti, anche per risolvere il problema di Pomigliano". "Il prosieguo - ha aggiunto - diventa difficile se non si risolve questo. Prima risolviamo questi problemi, poi andiamo a vedere come andare a risolvere la questione di Termini Imerese. Non si tratta di riconvertire ma di continuare a produrre auto. Il problema è capire con chi".

Una trentina di operai della Fiat di Pomigliano d'Arco ha protestato ieri davanti alla sede del ministero dello Sviluppo in via Veneto. "Padri senza lavoro. Figli senza futuro", si leggeva in un cartello. "Gente come noi non molla mai", gridavano gli operai. Con loro il deputato campano dell'Idv Franco Barbato.

29 gennaio 2010

 

 

 

 

Protestano sul tetto, la Fiat li denuncia

Sono stati denunciati all'autorità giudiziaria i 13 lavoratori della Delivery Email, azienda dell'indotto, che da dieci giorni si trovano sul tetto del capannone della Fiat a Termini Imerese. La notizia è emersa nel corso della riunione nella sede del ministero dello Sviluppo economico dove governo, Fiat e parti sociali hanno discusso del futuro dello stabilimento siciliano. I lavoratori, saliti sul capannone, protestano contro il licenziamento che scatterà dal primo febbraio, in conseguenza della decisione della Fiat di assorbire le attività di pulizia dei cassoni finora assegnate in appalto. Per il presidente della Commissione Attività produttive dell'Assemblea regionale siciliana, Salvino Caputo, presente alla riunione a Roma, la denuncia presentata dalla Fiat nei confronti dei 13 lavoratori "è l'ennesimo atto di arroganza". "In questo modo - aggiunge - si alimenta una inutile tensione che serve solo ad inasprire i toni e a surriscaldare un clima già teso". "La Fiat ha ottenuto aiuti e sostegno non solo dallo Stato ma anche dalla Regione siciliana - prosegue Caputo -. Questo comportamento non solo è lesivo per l'economia locale ma mortifica i nostri lavoratori". Duro anche l'assessore siciliano alle Attività produttive Marco Venturi, che ha parlato di di una mossa "inaccettabile" da parte dell'azienda.

29 gennaio 2010

 

 

 

 

Alcoa, il premier avverte: produzione resti in Italia

Nel giorno in cui Istat ha diffuso i dati sulla disoccupazione in Italia, che indicano in oltre 2 milioni i senza lavoro, il governo invita il produttore Usa di alluminio Alcoa a non chiudere i suoi due stabilimenti italiani. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha scritto una lettera al presidente e amministratore delegato dell'Alcoa, Klaus Kleinfeld, per invitare "la multinazionale a conservare

l'attività produttiva negli impianti italiani, e a non assumere decisioni al riguardo prima che la Commissione europea abbia proceduto all'esame del provvedimento, atteso entro il prossimo mese di febbraio".

"Berlusconi ricorda a Kleinfeld come una scelta diversa da parte dell'Alcoa produrrebbe gravi crisi sociali in aree disagiate del Paese e potrebbe modificare i rapporti fra il Governo italiano e la multinazionale", si legge in una nota della presidenza del Consiglio.

Ieri l'azienda americana ha annunciato di voler chiudere i suoi due impianti italiani entro il prossimo 6 febbraio, nonostante gli impegni del governo italiano a trovare energia a prezzi competitivi, sconti però che devono attendere ora l'autorizzazione da parte della Commissione Ue. L'azienda si era impegnata all'inizio della settimana a far ripartire uno dei due impianti se si fossero verificate condizioni favorevoli. I due impianti sono uno a Fusina in provincia di Venezia ed il secondo a Portvesme, in Sardegna.

Intanto, stamattina circa 400 dipendenti dell'azienda hanno protestato bloccando l'aeroporto di Cagliari per alcune ore. Prima con un passaggio nella zona partenze, dove è stato rallentato il transito delle persone che dovevano partire, poi con una sorta di invasione della pista dove è stato sistemato uno striscione con la scritta Rsu Alcoa. "Siamo stati caricati due volte - racconta Franco Bardi, segretario della Fiom Cgil - ma noi siamo disperati".

Alle 13 la mediazione dei parlamentari sardi è riuscita a risolvere la situazione. "La mediazione è riuscita - ha commentato Francesco Sanna, senatore del Pd - il Governo ha convocato per il 3 febbraio a Palazzo chigi Alcoa e sindacati". Un intervento deciso che ha fatto sì che i lavoratori libearssero la pista dove dovrebbe riprendere con regolaristà il traffico aereo.

29 gennaio 2010

 

il SOLE 24 ORE

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2010-01-31

31 GENNAIO 2010

I lavoratori Alcoa preparano il sit-in a Palazzo Chigi

Il Papa chiede più impegno da parte di tutti nella tutela dei posti di lavoro. In occasione dell'Angelus, dalla finestra che dà su Piazza San Pietro Benedetto XVI si è associato all'appello della Cei e ha chiesto alla Fiat di garantire lavoro ai dipendenti degli stabilimenti in via di chiusura.

Il Papa ha sottolineato che "la crisi economica sta causando la perdita di numerosi posti di lavoro, e questa situazione richiede grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti". "Penso - ha continuato - ad alcune realtà difficili in Italia, come, ad esempio, Termini Imerese e Portovesme; mi associo pertanto all`appello della Conferenza episcopale italiana, che ha incoraggiato a fare tutto il possibile per tutelare e far crescere l'occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie".

Secondo il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi l'appello del Papa "deve essere accolto dalle istituzioni e dalle imprese. Tocca alle imprese - ha spiegato - esprimere quanto più quella responsabilità sociale che deve indurre a non compiere frettolose scelte di ridimensionamento occupazionale dopo aver avuto lunghi anni di utili e. magari, aiuti pubblici".

31 GENNAIO 2010

 

 

I lavoratori Alcoa preparano

il sit-in a Palazzo Chigi

30 gennaio 2010

Almeno 500 operai dell'Alcoa di Portovesme sono attesi a Roma per martedì 2 febbraio in concomitanza con la riunione a Palazzo Chigi, prevista intorno alle 20.30, tra i i vertici della multinazionale dell'alluminio, i rappresentanti del governo e della Regione Sardegna, le organizzazioni sindacali.

La maggior parte dei lavoratori si imbarcherà domani da Cagliari su un traghetto della Tirrenia con una decina di autobus al seguito, altri partiranno in nave o aereo da Olbia. Raggiunta la capitale, la delegazione si trasferirà sotto Palazzo Chigi per un sit-in "a oltranza", fanno sapere operai e sindacalisti, in attesa delle decisioni di Alcoa. L'obiettivo è di scongiurare la fermata temporanea degli impianti, annunciata dall'azienda a partire dal 6 febbraio, e bloccare le procedure per la messa in cassintegrazione. A rischio ci sono circa 2000 lavoratori, tra diretti e indotto.

"Partiremo con un biglietto di sola andata e non torneremo a casa - promettono gli operai - fino a quando non ci verrà data la garanzia che Alcoa continuerà a produrre alluminio negli stabilimenti italiani".

La mobilitazione, sfociata venerdì scorso nella clamorosa occupazione dell'aeroporto di Cagliari Elmas, che ha paralizzato lo scalo per diverse ore, non si esaurirà con il presidio a Palazzo Chigi. Il Sulcis infatti si fermerà martedì 2 per iniziativa dei sindaci del territorio: scuole e negozi chiusi a sostegno della vertenza. E oggi in serata, lavoratori, sindacati e amministratori locali sfideranno il maltempo e sfileranno in corteo a San Giovanni Suergiu per una fiaccolata di solidarietà con gli operai dell'Alcoa e delle altre aziende in crisi del Sulcis Iglesiente.

30 gennaio 2010

 

 

 

Operaio perde il lavoro

e si suicida dandosi fuoco

31 gennaio 2010

Il Papa all'Angelus: salvare i posti di lavoro di Fiat e Alcoa

I lavoratori Alcoa preparano il sit-in a Palazzo Chigi

Fiat-Scajola: riparte il dialogo Sette idee per Termini Imerese

È morto questa mattina al Centro grandi ustionati di Verona, dov'era ricoverato in fin di vita da ieri pomeriggio, un operaio bergamasco di 35 anni che ieri mattina a Brembate (Bergamo) ha cercato di togliersi la vita cospargendosi di benzina e dandosi fuoco. Le sue condizioni erano disperate; l'uomo aveva riportato gravi ustioni su oltre il 95% del corpo.

Ieri soltanto l'intervento di una donna, che ha utilizzato un piccolo estintore per spegnere le fiamme, e il tentativo di rianimazione dei soccorritori, erano riusciti a strappare alla morte l'operaio, che, però, è morto oggi dopo neppure 24 ore di ricovero.

A spingere l'uomo a compiere il drammatico gesto sarebbe stata la depressione causata dalla perdita del lavoro. L'operaio era impiegato in una ditta di Zingonia (Bergamo) che è fallita un paio di mesi fa, costringendolo a casa. Ieri mattina intorno alle 10 il 36enne - che viveva a Bergamo insieme alla moglie - ha raggiunto a bordo della sua auto la zona industriale di Brembate, poi è sceso dall'abitacolo, ha afferrato una tanica di benzina, se l'è rovesciata addosso e si è dato fuoco. L'intervento di alcuni passanti, tra cui la donna con l'estintore, aveva permesso all'uomo di sopravvivere, ma soltanto per poche ore.

31 gennaio 2010

 

 

Da Prato all'Emilia, l'esodo

dei cinesi per colpa della crisi

31 gennaio 2010

La crisi pesa anche sulle imprese cinesi del distretto pratese. Negli ultimi sei mesi, per la prima volta in 15 anni, è negativo il saldo fra ditte avviate e aziende cessate dagli imprenditori orientali: 218 unità in meno. Lo confermano dai dati dell'osservatorio provinciale sul lavoro.

Gran parte dei 10.800 cinesi residenti in città, per la maggior parte operai nelle ditte d'abbigliamento, sono stati licenziati e riassunti con forme alternative di contratto. Un quinto degli occupati del comparto dell'abbigliamento - per il 96% nati in Cina - in un anno ha cambiato più di un lavoro. Secondo i dati dell'osservatorio, la crescita del tempo determinato fra i cinesi presenta una percentuale a 4 cifre: il 1.700% in dodici mesi.

Difficile stabilire, fra regolare e sommerso, il calo di fatturato delle confezioni cinesi. Dei 2 miliardi di euro stimati lo scorso anno, 200 milioni sono sfumati. Nell'ultimo trimestre 2009, secondo i dati dell'Unione industriale pratese, l'export pratese di abbigliamento e maglieria, in buona parte cinese, è calato del 3,6%. Chi produce abiti ha abbassato i prezzi. Va peggio a chi lavora nell'import. I cinesi dicono che "c'è poco lavoro" e confermano i dati Istat che a livello nazionale hanno registrato una contrazione annua del 18,7% dei capi prodotti in Cina: 21 milioni di euro in meno.

Sulla situazione economica, tace il console generale a Firenze Gu Hongling, che invita a chiedere "alle autorità pratesi". Pesano anche i controlli che hanno fatto infuriare il console nelle ultime settimane e che hanno portato alla chiusura di diverse aziende cinesi irregolari. "Il danno maggiore è per le aziende in regola - spiega però il dirigente italiano di una banca che ha la sede in piena Chinatown -. I nostri correntisti cinesi incassano meno, soprattutto perchè penalizzati dalle notizie sui blitz che scoraggiano i loro clienti. Meno italiani e meno commercianti dell'est europeo vengono a Prato a comprare dai cinesi perchè temono d'incappare in fornitori irregolari e controllati. molte aziende cinesi chiudono a Prato e riaprono in Emilia".

Non mancano i riflessi sociali. Polizia e carabinieri hanno registrato una crescita dei taccheggi da parte di cinesi. Spesso si rubano liquori. Marco Wong, rappresentante in Italia della comunità cinese, teme che "a Prato si potrà assistere a quello che vediamo a Milano: clochard cinesi in strada".

31 gennaio 2010

 

 

ECONOMIA&LAVORO

ILSOLE24ORE.COM > Notizie Economia e Lavoro ARCHIVIO

Scajola: "Con Fiat riannodate le fila della collaborazione"

di Carmine Fotina

29 gennaio 2010

Claudio Scajola (Lapresse)

Berlusconi ad Alcoa: resti in Italia

Vertenza Alcoa, riapre l'aeroporto di Cagliari

"Dai nostri archivi"

Fiat, Scajola: "Blocco inopportuno" Bonanni: "E' un ricatto"

Termini, convocato il tavolo Lombardo: "Marchionne offensivo"

Fiat: Scajola difende il polo industriale di Termini Imerese

Fiat di Termini Imerese, Scajola: "Tuteleremo l'occupazione"

Wsj: Termini Imerese "indicatore importante" nella lotta tra governi e aziende

 

Dialogo a tutto campo: su Termini Imerese, incentivi, livelli produttivi e occupazionali. Al termine del tavolo tecnico sulla Fiat, il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola prova a rasserenare il clima: "Abbiamo riannodato le fila per una collaborazione tra governo, Fiat e parti sociali". Sulla riconversione di Termini Imerese il ministero sta valutando la consistenza di 6-7 proposte che saranno esaminate nel dettaglio in un nuovo incontro il 5 febbraio. In quella sede, dice Scajola, "la Fiat parteciperà attivamente nella ricerca delle soluzioni". Il governo ha inoltre chiesto al Lingotto di presentare il piano di investimenti in Italia "per i due terzi degli 8 miliardi che l'azienda ha programmato nel prossimo biennio". "Siamo pronti ad aiutare e sostenere le proposte di riconversione da parte della Regione Sicilia per mantenere in vita l'occupazione anche quando la produzione cesserà" ha detto dal canto suo Ernesto Auci, responsabile Relazioni istituzionali di Fiat, durante il tavolo. "Sugli incentivi per il 2010 – ha poi aggiunto – il governo è totalmente libero di decidere per il bene del paese".

Su quest'ultimo punto, l'esecutivo preferisce temporeggiare: la decisione sugli incentivi auto verrà presa in sede europea, dopo il vertice dei ministri Ue dell'industria dell'8 e 9 febbraio, ma "lo diremo in tempi brevi – assicura Scajola – in maniera da dare indicazione chiara alla gente se ci saranno o meno incentivi quest'anno".

In vista dunque c'è almeno un'altra settimana di passione per la Fiat. In un clima molto difficile. Ieri una delegazione di operai di Pomigliano d'Arco ha manifestato davanti al ministero, mentre a Termini Imerese proseguivano le proteste. In mattinata, prima del tavolo tecnico, la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, aveva commentato così la decisione della Fiat sulla chiusura di Termini Imerese: "I cambiamenti ci vogliono: mantenere bloccati impianti che non stanno sul mercato è un costo per le aziende e per il paese". Giudizio al quale hanno poi risposto in modo critico i leader di Cgil e Cisl, Guglielmo Epifani e Raffaele Bonanni, e il segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani.

29 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Berlusconi ad Alcoa: resti in Italia

29 gennaio 2009

"Dai nostri archivi"

Sacconi: "Capisco la protesta Alcoa. Sì a incentivi auto"

Alcoa fa ripartire la Cig. I sindacati: "Non ci sono alibi"

La Cei a Berlusconi: "Gli stranieri delinquono come gli italiani"

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Borsa, Pirelli continua la corsaA Wall Street giù l'hi-tech

 

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi interviene nella vicenda dell'Alcoa, i cui dipendenti hanno protestato oggi bloccando l'aeroporto di Cagliari per protestare contro lo stop degli impianti per sei mesi. Il premier ha infatti scritto una lettera al presidente e amministratore delegato della multinazionale, Klaus Kleinfeld.

Nella lettera - si legge in una nota di palazzo Chigi - il presidente Berlusconi invita la multinazionale a conservare l`attività produttiva negli impianti italiani, e a non assumere decisioni al riguardo prima che la Commissione europea abbia proceduto all'esame del provvedimento, atteso entro il prossimo mese di febbraio. Berlusconi ricorda a Kleinfeld come una scelta diversa da parte dell`Alcoa produrrebbe gravi crisi sociali in aree disagiate del Paese e potrebbe modificare i rapporti fra il Governo italiano e la multinazionale.

29 gennaio 2009

 

 

 

 

Finmeccanica mette 1500

dipendenti in cassa integrazione

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29 gennaio 2010

"Dai nostri archivi"

Borse europee in rialzo A Milano guida UniCredit

Napolitano: "Sulla ricerca è in gioco il futuro"

Finmeccanica: "Con Drs saremo player globale"

Finmeccanica, utile in flessione nel trimestre

Scintille al debutto per Ansaldo Sts

Il gruppo Finmeccanica, per fronteggiare la crisi economica, quest'anno dovrà fare ricorso a periodi di Cassa integrazione per circa "1.500 persone", nel comparto "dell'Aeronautica, in alcuni settori della difesa e nello Spazio". Lo ha detto il condirettore generale e direttore finanziario Alessandro Pansa durante una conference call sulle nuove stime del gruppo per il 2009 e per il 2010.

L'annuncio arriva il giorno dopo la presentazione dei conti che, per il colosso a partecipazione statale, sono stati migliori del previsto. I ricavi consolidati, ha comunicato l'azienda, saranno compresi tra 17,9 e 18,3 miliardi di euro, superiore ai 17,1-17,7 precedentemente comunicato. L'Ebita sarà pari a 1,56-1,58 miliardi, rispetto al valore di 1,55-1,62 miliardi previsti. I dati previsionali sono stati esaminati dal cda. Il dividendo - ha detto il presidente e amministratore delegato Pier Francesco Guarguaglini - sarà lo stesso distribuito lo scorso esercizio. Gli ordini acquisiti per il 2009 ammonteranno complessivamente a 21-21,5 miliardi, mentre l'acquisizione degli ordini nel 2010 é prevista in crescita rispetto al 2009, con un valore superiore ai 21 miliardi.

29 gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

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